...E se la bolla scoppia...
Il mio percorso solitario sembrava voler esplorare dentro me stesso, detonando e demolendo tramide neurologiche con l'impeto che solo una passione viscerale può avere, per trovare uno spazio e una visione nuova d'insieme. E invece non ha fatto altro che allontanarmi gradualmente dal modo di pensare collettivo. Cosa che non mi è dispiaciuta: forse stavo tornando alle mie origini, quando la tecnologia digitale che avevamo in casa consisteva in un pc con processore che soltanto ad accenderlo ti passava la voglia. Cosa c'entra il discorso della tecnologia e dell'apatia sociale con l'arrampicata solitaria? In realtà più di quello che si immagina, se si considera la pratica della solitaria come un'arte marziale, come un bisturi che va diretto nella corteccia motoria e ci fa un balletto con i neuroni.
Non potevo chiedere di meglio: inaspettatamente, allo scoppiare di questa bolla che mi tratteneva nel mondo incantato da mezzo decennio, fatta di sogni avverati, ansie volute, spaventi offerti e salvezze guadagnate, sono riuscito ad estraniarmi dal brusio sociale e dalla sua impertinenza gratuita. Volevo ancora una volta vedere cosa c'era in fondo e non serviva cacciarsi in chissà quale guaio su chissà quale parete, ma la "quantità" si è rivelata sufficiente e ad un certo punto è stato come ficcarsi un dito in gola.
Come scavare nelle profondità del marmo stando accorti a non bucare fino in fondo: avverti che manca poco perchè la luce comincia a trapassare e il diaframma è questione di pochi millimetri. Una manciata di granelli tenuti insieme dalle pressioni metamorfiche che perderanno coesione e poi ti converrà dichiarare il fallimento, invece che la riuscita della figura scolpita. Non è semplice mantenere l'equilibrio e ad un certo momento diventi patetico con il controllo, meglio scendere dal baldacchino e ritornare coi piedi per terra. Riordinare le idee e constatare cosa ci è rimasto di buono e cosa invece è meglio gettare. Abituato a raccogliere le briciole sulla tovaglia, mi sono trovato a masticare anche cose non commestibili, ma almeno le ho provate prima.
Mi sono ritrovato a far parte di luoghi che non credevo potessero dare così tanto ad un appassionato smarrito e desideroso di nuovi spunti. Bastava scollegare la connessione usuale e spostare qualche fronda o ciuffo vegetale per scoprire un appiglio nascosto, un angolo impercettibile senza che il giusto gioco di luci e ombre rivelasse la sua morfologia.
Per il resto, mi limito a vagheggiare sul "come", non è necessario render sempre noto a tutti il "dove". E qui si denota la mia avversione per il sistema, che ha reso l'ambiente così caotico di conoscenza, tracciabilità e condivisione senza senso.
Scrutare e studiare in silenzio, con un pò di sana gelosia. "Tieni tutto per te"! diceva Dino Buzzati quando vedeva la sua guida Franceschini prender appunti.
Lo smarrimento e la rabbia repressa derivati dalle rinnovate imposizioni post-covid, con la derivata perdita delle origini.
La crisi creativa e l'estirpazione dell'ormone della felicità.
La naturale crescita del livello di dopamina con conseguente compulsività nel gestire i bisogni.
Tutti in giro. Anche chi un tempo se ne stava a casa e fanno anche bene, ma l'ambiente ha senz'altro subìto uno squilibrio. Ora chiunque vuole essere l'inviato speciale a testimoniare una nuova influenza, che per un social è la "Pappa Reale".
Molto spesso trattasi di incapaci e inadeguati, soltanto il desiderio di dire: "Pure io", "Eccomi", con le braccia alzate, saluto Shaka e la smorfia da beota: il tutto da impachettare entro sera in storielle accompagnate da musica di tendenza e battute prestabilite.
Mode e brand, hastag e trend e la tarantella va avanti inesorabile, "green" ostinatamente, anche se non si può fare a meno di espellere CO2 chiacchierando inutilmente e intanto i boschi ben tenuti dai nostri nonni sono ormai mangime per i coleotteri più famelici. L'importante è andar via defilati e seguire la massa a qualsiasi ora del giorno e della notte come in un caotico rave, perchè non c'è mai pace e tempo e devi dimostrare da che parte stai.
C'è stato un momento in cui pure io ho divulgato qualche impressione e speso qualche parola in più sulle mie passioni ma mi sono sentito bollito in un minestrone incompatibile con il mio sapore amarognolo. Una volta, quando tutto ciò non esisteva, ci pensavano gli "Sceriffi" della montagna, cioè gli anziani che sapevano trattare l'argomento principale: sopravvivere, resistere e ritornare sani e salvi alla maison senza ulteriori fronzoli e ricamini atti a dolcificare una vita aspra. Ora che purtroppo questi si estinguono e ci lasciano, diventiamo sempre più poveri di cultura. Custodi della montagna lo siamo molto con le "chiacchiere e distintivi" ma poco coi fatti: un ramo secco o un masso caduti per cause naturali persistono ad intralciare il sentiero finchè uno non c'inciampa. Un mio collega più anziano mi insegnò che nei lavori boschivi è assolutamente irrispettoso bloccare con ramaglie o cataste di legna tagliata anche la più impercettibile traccia di passaggio, che sia pedonale, animale o forestale, destinata ai trattori.
Nel periodo in cui percepii il richiamo delle crode regnava un clima prolifico. Nelle falesie si allenava gente che ambiva ad aprire vie nuove e dure in ambiente. Eri ispirato a fissare i tuoi obiettivi oltre quelle rupi di fondovalle che servivano solo a preparere il fisico e la testa. Potevi percepire la rude natura di quelle persone dallo stato della loro attrezzatura e dall'abbigliamento che avevano addosso: rinvii datati, imbraghi irrobustiti con il tape sulle asole di collegamento, sbreghi e macchie di magnesite misto sangue sui pantaloni e sulle scarpette. Aneddoti e storie su vie dai nomi altisonanti di riferimento rosicchiati con diminutivi come KCF, Philipp, Specchio, Paolo VI, Brandler. E poi c'erano i mostri sacri con le vicende su Nuvole Barocche. Rimanevi zitto ad ascoltare e mai ti saresti sognato di pubblicare qualcosa di tuo.
All'età di tredici anni mi appassionai dell'arrampicata. D'improvviso e di punto in bianco il ragazzino pauroso, miope e gracilino quale ero io, decise di accettare le sue insufficienze e indossate un paio di scarpette vecchie e indurite dello zio lo seguii, sul sentiero verticale che ancora adesso mi impegna fino al limite delle mie forze. Dentro avevo un fuoco che ardeva, un riscatto che andava oltre le mie debolezze. In casa l'atmosfera familiare era concentrata sulla malattia, con la quale mia mamma toccava fare i conti. Quando potè ritornare a passeggiare tra le amate Dolomiti captai un forte richiamo, stando al suo fianco mi contagiò con la sua stoica determinazione e mi approciai all'alpinismo. Come già citato in qualche post precedente, la scalata fu la mia ribellione che sistemava le mie disfunzioni ormonali: considerai l'adolescenza come un'opportunità di sfogo immerso nelle rocce e nelle loro realtà.
Dopo trent'anni di pratica sento ancora che gli appigli sfuggenti esigono dedizione piena, nella cura della preparazione psico-motoria e gli appoggi, anche se rimangon laggiù in basso, necessitano di esser ripresi in considerazione quando tocca alle suole a far contatto. Non mi sentirò mai migliorato, anche se col tempo ho affinato alcune tecniche complicate come l'autosicura con la corda, standomene giornate intere appeso a pareti isolate. "Guarda dove metti i piedi" è sempre stata la predica che andava per la maggiore. "Le lucertole tengono gli arti superiori all'altezza delle spalle, così hanno la mobilità per poter osservare tutt'intorno e spostare i pesi sul baricentro".
Detestavo certe rocce infide che implicavano la tecnica dei piedi e mi impegnavano a valutare la tenuta delle prese.
Se osservando dal basso scovassi linee nuove in qualche parte, la mia curiosità riaccenderebbe il richiamo per pareti che credevo sature. Sarebbero i nuovi mondi cui vado cercando per isolarmi dal brusio influenzante. Ho avvertito qualcosa di nuovo e mi fa stare bene, non credevo potessero esistere così tante risorse là fuori.
Accusando le fatiche e le pressioni forzate con le ultime uscite solitarie, ho disinfettato e ricostituito il PH, revisionato le forze creative, ri-considerato alcune etiche e mi sono dato da fare con nuove tabelle di allenamento inserite tra una sessione lavorativa e l'altra, perchè nessuno ti regala niente ma il tempo per queste cose bisogna saperselo prendere.
Ho divulgato il mio raccolto di esperienze e ancora una volta ho acceso il proiettore nelle sale in giro, fatto girare nuove immagini e testimonianze. Il messaggio è stato sempre recepito e la "consapevolezza del proprio atteggiamento elitario", come diceva Scott Backes, ha fornito sostanza alle conferenze che ho tenuto in giro, come pure ai podcast ai quali ho gradevolmente interloquito. Ho apprezzato soprattutto il modo in cui la mia scultura si è inserita bilanciando la predominanza dell'arrampicata che in certe situazioni fa apparire la pratica un'odiosa e retorica esaltazione di se stessi, dove invece è la natura che dovrebbe prevalere e la sua ostilità nei nostri confronti.
Un raggio di sole e un bisogno di uscire a respirare, senza influenze esterne. Questo è il mio obiettivo controtendente, apolitico, associale: nè bianco nè nero, nè rosso nè "green". Senza chiedere permesso ma portando rispetto. E al massimo, girando i tacchi se la giornata o quel determinato movimento appartiene a qualcun altro.
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Da solo sopra le nuvole in Moiazza |
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Io, lo zaino, la corda, una decina di chili di materiale variopinto e nient'altro |
Come in Patagonia: solitudine sullo Spigolo Giallo |
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Caldo in quota |
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Spittatura "Giordani" in Val Fredda (solo nel nome) |
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Giornata nella quale tutto è a posto: adorabilmente autunnale e in compagnia di un buon amico. Con Andrea sulla Cassin alla Torre Trieste |
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Profumo di nuove avventure con Peter |
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Aldilà dei confini visivi tra terra e cielo: Dolomiti Friulane |