Sacralità


La montagna che più mi attrae è la più sacra che esiste: il Kailash, in Tibet. Dicono che Milarepa ci salì a cavallo di un raggio di sole, alla velocità della luce. Alle sue pendici c'è gente che lo venera strisciandogli attorno per misurare le sue dimensioni. Presenta vistose colate di ghiaccio sul suo fianco più impervio, tra le più belle formazioni glaciali che si siano mai viste. Rappresentano forse la perfezione canonica. le forze "superiori" suggeriscono e invogliano gli esteti dell'alpinismo.


Una volta sola sulle montagne di casa mia successe la magia, e non volli perdere l'occasione. Rischiammo oltremodo la pelle salendo su croste di ghiaccio improbabili, effimere, sicuramente un gioco folle della natura che nessun altro avrebbe saputo interpretare positivamente su quella porzione di montagna. Fummo profondamente riverenti alla montagna per ciò che ci aveva concesso. Più di tutto, a distanza d'anni, mi piace il fatto che la storia di quelle salite svanisca allo stesso modo in cui la primavera sciolse le creazioni glaciali. Perché in effetti non è che importi.

Cosa significherebbe cavalcare i ghiacci proibiti del Kailash, magari in perfetta solitaria, in perfetto silenzio, leggeri come le piume senza lasciare tracce sia materiali che mediatiche?...
forse qualcuno ci ha già pensato e l'ha salita in silenzio, infischiandosene di fare bagarre coi media. Una salita perfetta e nessuno che ti sta dietro.
Una parete così fa riflettere sulla misticità del salire.
Mi viene in mente anche la salita free-solo di Honnold su El Capitan. Ora quella montagna, che si voglia o no, appare diversa. Sicuramente non sminuita ma rivalorizzata. A volte l'uomo sa dare la giusta sacralità alle cose. Lasciamolo fare, che è un essere vivente creativo e pacifico, con gli occhi sognanti e il cuore che balza a pochi centimetri dai peli dello stomaco.

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