Dentro la bolla, fuori dalla comfort -zone


La "comfort zone" può essere definita come quella condizione mentale - una sorta di confine autoimposto - in cui si prova un senso di familiarità e protezione, nel pieno controllo di chi siamo e di cosa stiamo facendo, perchè fondamentalmente ciò è a noi conosciuto e non produce ansia e stress. 

Da fonte ASNOR

"La vita comincia alla fine della tua zona di comfort." Neal Donald Walsh


Da molte ore ormai sono dentro la mia bolla, solo con i miei pensieri e le mie convinzioni. Sì, perché è meglio esser persuasivi piuttosto che farsi prendere da terribili dubbi, non è decisamente il caso vista la mia posizione. Da qui riesco a vedere tutto l’avvicinamento percorso stamattina, lungo l’impercettibile traccia del Viaz e anche il mio furgone, parcheggiato laggiù in basso. C’è una prospettiva d’effetto in questi luoghi che ti fa girare la testa; come un caleidoscopio composto dal parallelismo di guglie o “spiz” per l’esattezza  e gole, dalle linee convergenti verso il fondo del baratro.

Sulla sezione strapiombante della Gianeselli allo Spiz Nord

 Ora, con il ventre che striscia sotto la sporgenza e il Gri-gri che s’impiglia smuovendo scaglie precarie, cerco un punto adatto che mi permetta di superare lo strapiombo descritto nella relazione come “passaggio di artificiale”1. Direi pure con libertà di scelta, visto che la chiodatura, che in questi casi fungerebbe da “waypoint” e fino a quì riscontrata sporadica, pare avermi definitivamente abbandonato nel bel mezzo della sezione chiave.  “Ti converrà passare in libera…” . Non è una colpa che faccio al caro amico Gianni (Gianeselli, uno degli apritori della via, il quale tempo addietro me ne accennò con entusiasmo, consigliandola vivamente) ma un inchino, per aver lasciato carta bianca alla mia immaginazione. Con la corda sostenuta da un rinvio passato in una provvidenziale clessidra, incontrata molti movimenti fa, constato che non c’è traccia di fessure buone, nemmeno per la mia ancoretta “furba”.Eppure ricavo l’impulso vitale che solo in queste situazioni viene a galla, a differenza delle vie “omogeneizzate” dove tutto è certificato e già clinicamente testato: sento il corpo leggero, gli appigli confortanti  sotto mani solide, la mente ferma ed un silenzio rispettoso. Alle impertinenze della serie “Ma non ci pensi che hai anche una famiglia a casa?!” ci ho pensato fino a prima (quando ancora potevo decidere di tornarmene a casa), ci penso sempre, ogni giorno incessantemente e per questo tengo una voragine nello stomaco, ma in questi istanti esiste soltanto lo stasi dentro la bolla e conviene che sia così. Perchè dovrei forse indossare un giubbotto nero con il teschio,  preferendo l’adrenalina di un sorpasso alla cieca in moto per apparire un genitore meno irresponsabile? Forse ce la giochiamo alla pari e ho  visto molti autisti sprezzanti, con la vignetta adesiva raffigurante la famiglia al completo che occupava quasi mezzo baule dell’auto,farmi il pelo per strada. Ripeto, qui a quattrocento metri dal suolo e appeso alle mie convinzioni ritrovo tutto me stesso. E’ Come quando, nel mio mestiere di scultore,mi accingo al blocco di marmo ancora da scolpire e nessun altro può immaginare la figura intrappolata dentro come la vedo io, ti senti solo ma inequivocabilmente unico e non è presunzione, semmai il pretesto di dominare un qualcosa che aspetta soltanto te. “Abbandono ribelle di tutte le consuetudini errate, impeto nell’ardire l’aspra materia, volontà indefessa all’opera tua.”2

Ancora qualche metro verso destra e, oltrepassato lo spigolo (“Avrai le tue belle rogne poi nel tornar giù a recuperare il materiale!”), ecco concretizzarsi un ragionevole varco, seppur atletico e improteggibile, ma che mi condurrà fuori dalla zona dei tetti. Anche se il superamento dell’ostacolo mi riesce indolore, rimane l’ansia di dover ripassarlo altre due volte curandomi che la corda non sfreghi sugli spigoli, ripetere in arrampicata i traversi esposti ottimizzando le mosse per perder meno tempo e con il sacco sulle spalle. Sperare che il capo della corda protetto dall’imbuto non s’incastri da qualche parte laggiù… “sei sempre solo, la solitudine di divorerà dentro lo sai? Ti cambierà dentro!” ma sono forte delle mie teorie “Sono sempre stato folle, so di esserlo stato, come la maggior parte di noi… è molto difficile spiegare perché sei folle, anche se non lo sei”3. Con gli anni mi sono creato la convinzione che questo salire e scendere, guadagnando due volte la cima e che è l’arte della solitaria con la corda, sia un mantra che serve a rievocare a se stessi il piacere della scalata, approfondendo la morfologia del terreno e le sensazioni personali. 

su Anima fragile al Col dei Camòrz

sulla Molin al campanile Toro. ph GoPro

Sulla variante finale Bonafede-Menegus alla Castiglioni-Artale alla Torre dei Sabbioni ph. GoPro

Diedro Dulfer alla Cima Grande di Lavaredo ph. GoPro
 
Varcare ambienti nuovi, mai frequentati prima, senza conoscere  non solo l’itinerario ma pure l’avvicinamento e la discesa, rappresenta l’evasione più profonda dalla propria zona di comfort ed è ciò che ti porta ad allargare la visione d’insieme. Non è soltanto la ricerca dell’estetica nella scalata, del gesto e della difficoltà, ma di quella dimensione metafisica che è pronta a rivelarsi dopo ore e ore di permanenza in ambiente. Alla fine è come quando termino un lavoro scultoreo e rimane la volontà di ricominciare cercando di migliorarsi; la mente ha bisogno di essere incentivata a guardare oltre, per liquidare i problemi futili.

1 Via del pilastro N.O. allo Spiz Nord  di Mezzodì – G. Gianeselli , G. Garna, P. Sommavilla, Z. Damian e E. Foggiato – luglio 1973.

2 “L’arte del marmo” di A.Wildt – 1921

3 Speak to me – Pink Floyd - 1973



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