Spigolo Decima - Todesco - Brustolon alla Pala della Gigia
Una via che sarebbe potuta rimaner lì nella guidina tascabile del Santomaso senza che io ne conoscessi l'esistenza.
Sono due o forse anche tre anni che mi dedico all'arrampicata in solitaria, sempre rigorosamente con l'uso della corda e del sistema "sù -giù -e ancora sù" ne ho fatto il callo. Più che altro le corde, a furia di scorrer sui discensori, sulla croda e sulle mani, raddrizzano il pelo come un gatto!
Mercoledì pomeriggio, di ritorno da una corsa forsennata su Gaudeamus al Col dei Bos e per scappar via dalla coda di tedeschi che mi perseguita in parete, dico a me stesso che in futuro dovrò sceglier posti "automobilisticamente" meno dispendiosi, la statale 51 sarà sempre peggio da qua in avanti!
Così due giorni dopo mi ritrovo di buon'ora al passo Duran ad osservare le crode brunite dalla pioggia della notte, mi carico di tutto un po' e punto silenzioso verso quella Pala della Gigia che mi fa sempre sorridere per il suo nome. Credo che sia una dedica alla Luigina De Nardin, la "Gigia" appunto, che negli anni '60 era conosciuta da tutti i più forti alpinisti per la sua generosa amicizia e passione per la montagna. Sì, proprio così, perché un tempo gli alpinisti erano pure irresistibilmente simpatici e con carisma personale. I tempi cambiano, purtroppo e il tempo s'è portato via simpaticoni come Georges Livanos, Loris De Moliner, Nani 'Falco' e Da Canal, tanto per citarne alcuni e spero di poter ri-incontrare Berto Lagunaz, Sorgato e Marcello Bonafede, Gianni Gianeselli e gli Scoiattoli Lorenzi e Valleferro fin che sono in tempo!
Ecco, proprio questo mio approccio umano con la montagna mi porta a pensare ai primi salitori di quello spigolo che si fa sempre più prominente ai miei propositi: Gigi Decima, che conosco solo per la sua fama di forte esploratore di nuove vie nell'agordino (chi non ha ancora salito la sua via sulle Masenade???) accompagnato da Fausto Todesco e Pier Costante Brustolon.
Del primo mi arriva la sua simpatia, il suo timbro sarcastico ma sempre aperto ai dialoghi con i giovani. Forse perché mi vede su da queste parti da quando ero un marmocchio e mi aggiravo per l'allora "suo" rifugio Carestiato mentre mio padre arrampicava lì attorno, tant'è che io lo trovo immutato sia dentro che fuori e sono sempre felice di incontrarlo.
Pier invece era un Amico di famiglia, molti ricordi sia belli che brutti mi attraversano ricordando quel burbero 'orso' che appariva le sere d'inverno alla porta di casa dei miei con le cinque dita della mano protese, "solo cinque minuti", diceva, ma poi si tirava sempre notte bevendo e ascoltando i racconti dei suoi viaggi con la Michela, in giro per il mondo... Una sera, forse perché gli dissi che avevo appena scalato il diedro Buhl al Ciavazes e lui ancora gli mancava, mi portò via con lui e andammo a farci un sorso al bar. Ero allora quindicenne e mi confidò intimamente: "non scalare mai per metterti in mostra o per sparlare, fallo solo per passione!" Io controbattei confermando ciò che leggendo nel libro di Gary Hemming ritrovavo nelle sue parole. Non me lo scorderò mai, anche se poi abbiamo anche litigato ma quello lo sappiamo noi. Anzi lo so solo io, perché ora Pier non c'è più.
Sapevo dalla relazione che la via era stata riattrezzata con spit alle soste, forse da Soro in occasione della sua variante finale. Non mi dispiace trovare le soste sicure da quando giro da solo, purché i tiri non siano protetti stile falesia.
Ambiente appartato, lontano dalle orde di pellegrini affezionati alla Torre Jolanda (di cui però non conosco il riferimento) roccia buona e un'introduzione al crux dello spigolo ancora deliziosamente alpinistico: al quarto tiro, per l'appunto, dalla cengia s'addocchia a destra dello spigolo una fessura gialla con un chiodo altrettanto giallo. Oltrepassato il chiodo ci si riporta delicatamente in strapiombo a sinistra e per un colatoio appena accennato si perviene alla sosta del pilastro staccato, da dove comincia la sezione in artif. Volendo, dalla sosta inferiore si riesce ugualmente a raddrizzare la linea ma non ci sono protezioni fisse in vista, quindi perché rischiare l'ammutinamento sbattendo sulla cengia?
La sezione artif, protetta da 4 ottimi golfari stuzzica la libera, ma trovandomi solo soletto ho optato al divertimento e al piacere del vuoto.Gli ultimi settanta metri sono senza storia, roccia super lavorata e clessidre ovunque, ma anche questa storia doveva pur finire, ma sempre con stile e ridisceso alla base della parete, sfrutto le mie risorse percorrendo la selvaggia Cengia Letizia con la schiena gobbita dallo zaino che mi deposita davanti al banco del Carestiato. Diego e la sua meravigliosa famiglia mi riempiono il cuore e in fondo al secondo bicchiere di vino ritrovo la pace condivisa. Sento il Diego chiamare sua figlioletta col soprannome di "Gigia"... Forse la storia è ancor più intricata di quel che immagino!
Per concludere: itinerario vivamente consigliato a chi non l'ha ancora ripetuto, anche per constatare che non esiste soltanto una Decima - Todesco formato colatoio e anche se riconosco di aver malinconicamente condito l'articolo con fatti miei, intimo tutti a respirare la montagna non solo stringendo le dita sulle prese e mettendo in saccoccia un'altra salita, ma a viverla anche per le sue storie, che sono fatte di uomini con la nostra stessa passione.
Sono due o forse anche tre anni che mi dedico all'arrampicata in solitaria, sempre rigorosamente con l'uso della corda e del sistema "sù -giù -e ancora sù" ne ho fatto il callo. Più che altro le corde, a furia di scorrer sui discensori, sulla croda e sulle mani, raddrizzano il pelo come un gatto!
Mercoledì pomeriggio, di ritorno da una corsa forsennata su Gaudeamus al Col dei Bos e per scappar via dalla coda di tedeschi che mi perseguita in parete, dico a me stesso che in futuro dovrò sceglier posti "automobilisticamente" meno dispendiosi, la statale 51 sarà sempre peggio da qua in avanti!
Così due giorni dopo mi ritrovo di buon'ora al passo Duran ad osservare le crode brunite dalla pioggia della notte, mi carico di tutto un po' e punto silenzioso verso quella Pala della Gigia che mi fa sempre sorridere per il suo nome. Credo che sia una dedica alla Luigina De Nardin, la "Gigia" appunto, che negli anni '60 era conosciuta da tutti i più forti alpinisti per la sua generosa amicizia e passione per la montagna. Sì, proprio così, perché un tempo gli alpinisti erano pure irresistibilmente simpatici e con carisma personale. I tempi cambiano, purtroppo e il tempo s'è portato via simpaticoni come Georges Livanos, Loris De Moliner, Nani 'Falco' e Da Canal, tanto per citarne alcuni e spero di poter ri-incontrare Berto Lagunaz, Sorgato e Marcello Bonafede, Gianni Gianeselli e gli Scoiattoli Lorenzi e Valleferro fin che sono in tempo!
Ecco, proprio questo mio approccio umano con la montagna mi porta a pensare ai primi salitori di quello spigolo che si fa sempre più prominente ai miei propositi: Gigi Decima, che conosco solo per la sua fama di forte esploratore di nuove vie nell'agordino (chi non ha ancora salito la sua via sulle Masenade???) accompagnato da Fausto Todesco e Pier Costante Brustolon.
Del primo mi arriva la sua simpatia, il suo timbro sarcastico ma sempre aperto ai dialoghi con i giovani. Forse perché mi vede su da queste parti da quando ero un marmocchio e mi aggiravo per l'allora "suo" rifugio Carestiato mentre mio padre arrampicava lì attorno, tant'è che io lo trovo immutato sia dentro che fuori e sono sempre felice di incontrarlo.
Pier invece era un Amico di famiglia, molti ricordi sia belli che brutti mi attraversano ricordando quel burbero 'orso' che appariva le sere d'inverno alla porta di casa dei miei con le cinque dita della mano protese, "solo cinque minuti", diceva, ma poi si tirava sempre notte bevendo e ascoltando i racconti dei suoi viaggi con la Michela, in giro per il mondo... Una sera, forse perché gli dissi che avevo appena scalato il diedro Buhl al Ciavazes e lui ancora gli mancava, mi portò via con lui e andammo a farci un sorso al bar. Ero allora quindicenne e mi confidò intimamente: "non scalare mai per metterti in mostra o per sparlare, fallo solo per passione!" Io controbattei confermando ciò che leggendo nel libro di Gary Hemming ritrovavo nelle sue parole. Non me lo scorderò mai, anche se poi abbiamo anche litigato ma quello lo sappiamo noi. Anzi lo so solo io, perché ora Pier non c'è più.
Sul tiro artif. Ph. Gopro |
Ambiente appartato, lontano dalle orde di pellegrini affezionati alla Torre Jolanda (di cui però non conosco il riferimento) roccia buona e un'introduzione al crux dello spigolo ancora deliziosamente alpinistico: al quarto tiro, per l'appunto, dalla cengia s'addocchia a destra dello spigolo una fessura gialla con un chiodo altrettanto giallo. Oltrepassato il chiodo ci si riporta delicatamente in strapiombo a sinistra e per un colatoio appena accennato si perviene alla sosta del pilastro staccato, da dove comincia la sezione in artif. Volendo, dalla sosta inferiore si riesce ugualmente a raddrizzare la linea ma non ci sono protezioni fisse in vista, quindi perché rischiare l'ammutinamento sbattendo sulla cengia?
La sezione artif, protetta da 4 ottimi golfari stuzzica la libera, ma trovandomi solo soletto ho optato al divertimento e al piacere del vuoto.Gli ultimi settanta metri sono senza storia, roccia super lavorata e clessidre ovunque, ma anche questa storia doveva pur finire, ma sempre con stile e ridisceso alla base della parete, sfrutto le mie risorse percorrendo la selvaggia Cengia Letizia con la schiena gobbita dallo zaino che mi deposita davanti al banco del Carestiato. Diego e la sua meravigliosa famiglia mi riempiono il cuore e in fondo al secondo bicchiere di vino ritrovo la pace condivisa. Sento il Diego chiamare sua figlioletta col soprannome di "Gigia"... Forse la storia è ancor più intricata di quel che immagino!
Per concludere: itinerario vivamente consigliato a chi non l'ha ancora ripetuto, anche per constatare che non esiste soltanto una Decima - Todesco formato colatoio e anche se riconosco di aver malinconicamente condito l'articolo con fatti miei, intimo tutti a respirare la montagna non solo stringendo le dita sulle prese e mettendo in saccoccia un'altra salita, ma a viverla anche per le sue storie, che sono fatte di uomini con la nostra stessa passione.