Tre Cime di Lavaredo: via Cassin-Pozzi-Vitali da solo e d'inverno
Via Cassin-Pozzi-Vitali alla Piccolissima di Lavaredo
Da solo e d’inverno.
Mancano una manciata di movimenti per raggiungere il
chiodo infisso nella prima fessura dopo
metri di placca inespugnabile con mezzi naturali , una provvidenziale “isola” di
salvezza dispersa in questo mare giallo. In realtà è un muro, composto da
dolomia stratificata e friabile, occorre prudenza nel tirare gli appigli e nell’appoggiare
i piedi, in una verticalità di cui le Tre Cime di Lavaredo contendono il
marchio di qualità. Le prese ora sono abbastanza piccole e sporadiche,
stringo forte una scaglia che sembra l’elemento
di una cornice di quelle che si trovano sui palazzi di Venezia, dove milioni di
mani provenienti da tutto il mondo hanno accarezzato quel pezzo di pietra d’Istria
deteriorato fin tanto da lucidarlo. E’
da una settimana che attendo ansioso di mettermi in gioco con il famigerato
tratto “obbligatorio” della Cassin alla Piccolissima e per l’evenienza mi sono
allenato sufficientemente per
arrampicarmi su di qua senza
esitazioni. La corda nel gri-gri scorre regolare e ciò contribuisce a
mantenermi calmo e fiducioso.
Sfioro con i polpastrelli il vecchio chiodo per
sentire la sua materia ferrosa arrugginita dal tempo e mi prende l’emozione: ho
davanti a me un pezzo di storia, un manufatto uscito dalla forgia del Grande
Cassin prima ancora che costituisse la sua prestigiosa ditta di attrezzatura d’alpinismo!
Pur avendo già salito nel passato altri suoi itinerari, è la prima volta che mi
soffermo su queste riflessioni. Sarà forse l’emotività legata alla “vecchiaia”
che avanza o forse, meglio, il fatto che mi trovo da parecchie ore a fare i
conti con me stesso e d’inverno anche quassù nel “tempio delle Dolomiti” regna
una solitudine ancestrale, credo che vada bene riflettere sulle valenze più
profonde dell’alpinismo vero. Gli uomini hanno vissuto e vivono le loro storie,
inevitabilmente lasciano una traccia del loro passaggio, ma le crode rimangono
mute testimoni di atti d’amore, di inni alla vita e io sento che la mia
presenza qui oggi, solo con i miei 13 chili di materiale appresso, rappresenta
proprio questo. La fatica dell’avvicinamento, ancora col buio,con le pelli di
foca sugli sci, il vortice di dubbi e certezze che si alternano come la
corrente elettrica nella testa e la bellezza di una via considerata “mini” ma
che ha tutte le qualità per rientrare invece nel mito: ciò mi basta per
motivarmi a continuare il percorso verso l’alto.
Raggiungo il traverso esposto verso sinistra e proseguo
senza fermarmi perché ho ancora più di metà corda a disposizione, così ho modo
di scorgere dietro alle spalle il panorama innevato dei Cadini di Misurina che
si spalanca aldilà della prateria del rifugio Auronzo. Che bello poter
realizzare i propri sogni e non crederci ancora di stare qui davvero!
Quanta
acqua sotto i ponti, prima di appurare la consapevolezza delle proprie
capacità; quanti metri, quante ore, quante sveglie… quante unghie perse col
gelo… tante giornate invernali a soffrire per un ideale impalpabile. Ed oggi tutto
è così perfetto, fa quasi troppo caldo quassù, neanche dentro l’angusta
fenditura delle calate in corda doppia si trema. E’ anche vero che da soli non
si sta mai fermi, non c’è mai un momento di pace, soltanto brevi attimi di
auto-condivisione che giungono potenti come fialette cogliendoti alla
sprovvista, emozioni ridicole come riabbracciare gli scarponi da sci lasciati
all’attacco della via come fossero due gattini affettuosi.
Lascio andare gli sci
sulla strada che mi riporta al furgone, trasformata in una pista da sci,
ingobbito dal saccone che mi dona una stazza degna di un Dominik Paris e i
vecchi gloriosi F1 sembrano cedere allo sforzo. Questa sciata è la vera cima
raggiunta oggi, ora posso rilassarmi.
Note per la Via Cassin:
La relazione più attendibile e precisa è quella compilata da
Bernardi, sia per la salita che per la discesa. Esistono una marea di asserzioni
false in molte altre pubblicazioni, specialmente nelle indicazioni della
sequenza di doppie; le corde possono incastrarsi ma se si effettuano le calate
sugli ancoraggi giusti si fanno doppie corte ed efficaci, rischiando molto meno
di scaricarsi pietre addosso.